by Raffaella Silvestri
su Elle Magazine

Da bambina i maschi mi facevano paura: dei compagni delle elementari non ho nessun ricordo individuale – nessun amico, nessuna piccola cotta – solo una massa indistinta di corpi che nel cortile della scuola si prendeva il centro e ci spingeva ai margini. Anche quando correvamo, noi bambine lo facevamo fra gli ostacoli, lungo i bordi, sul prato spelacchiato di quella Milano in cui non piove da cento giorni. Il centro del cortile era grande e asfaltato, un campo da basket forse, non so. L’ho visto rimpicciolirsi mentre crescevo perché anche se tante volte sono andata via, poi sono sempre tornata nel mio quartiere. Ancora oggi passo davanti alla scuola col cane e quel cortile è intatto: il dominio dei (piccoli) maschi.

Adesso ci hanno fatto degli studi: soprattutto nella città di Vienna, dove ho passato molto tempo negli ultimi sei anni, si sono occupati di progettazione urbanistica con una prospettiva più paritaria. Per esempio, nei parchi hanno misurato la frequenza con cui le bambine utilizzavano le aree giochi, osservando che negli spazi più estesi venivano marginalizzate. Sull’altalena, sullo scivolo, sulla parete per arrampicarsi c’era (quasi) sempre un bambino. Hanno quindi riprogettato le aree in modo più frammentato, le hanno divise in porzioni. Con questa nuova disposizione, le bambine usano i giochi molto di più. Del fatto che gli spazi sono progettati a misura di maschio, e che spesso non ci facciamo caso perché questo è considerato semplicemente lo standard, si occupa il libro Invisibili, di Carolina Criado Perez (Einaudi). Recentemente è uscito anche Milano, atlante di genere (LetteraVentidue), uno studio di Florencia Andreola e Azzurra Muzzonigro, due architette e ricercatrici urbane, all’interno di una ricerca più ampia dal titolo Sex & the City, che ha lo scopo di aiutare a pianificare contesti più inclusivi, pensati per molteplici corpi e soggetti.

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