Manuela Griglè su La Stampa il 4 marzo 2022
Le città non sono neutre, anzi. Vengono plasmate per i bisogni di un cittadino tipo che però coincide, quasi sempre, con il maschio bianco eterosessuale (di una certa età). Con la conseguenza che le necessità delle donne non vengono quasi mai prese in considerazione. Per esempio i bagni pubblici: pochini, ecco perché spesso le ragazzine una volta che hanno il ciclo smettono di frequentare i parchi. Anche lasciare le aree gioco senza strutture penalizza le bambine: i maschi tendono a essere più invadenti e trasformare ogni prato in un campo da calcio, spingendole ai margini. I mezzi di trasporto non sempre sono pensati per chi si trascina in giro un passeggino, a cominciare dagli “individualisti” monopattini e bike sharing. Marciapiedi sconnessi, strade poco illuminate, porte di uffici pubblici che pesano tonnellate.
La non considerazione delle donne nella pianificazione degli spazi urbani non è casuale, ma ripropone una struttura della società che si fonda sulla reclusione del femminile nell’ambiente domestico. E non tiene conto del fatto che le donne svolgono il 75% del lavoro non pagato di caregiving, assistendo bambini e genitori anziani con il risultato che il loro modo di navigare le città è molto differente – e molto meno lineare – di quello maschile. I loro viaggi sono a zig-zag, con tante tappe intermedie. Senza dimenticare che le donne in media guadagnano meno degli uomini e quindi per loro spostarsi con mezzi privati può essere proibitivo. Ma progettare in modo più inclusivo si potrebbe, l’antidoto si chiama urbanistica di genere.
«Ovvero includere la prospettiva femminile all’interno della progettazione. Non tanto per costruire città solo a misura di donna, ma inclusive per tutte e tutti», spiega Azzurra Muzzonigro, architetta, che insieme a Florencia Andreola, dottore di ricerca in Storia dell’architettura all’Università di Bologna, è autrice di Milano Atlante di Genere commissionato da Milano Urban Center (Comune di Milano e Triennale Milano), esito di due anni di osservazione della città di Milano da una prospettiva di genere.
L’articolo integrale di Manuela Griglè su La Stampa