Pubblicato su Intersezionale l’11 dicembre 2020

di Florencia Andreola

«Any settlement is an inscription in space of the social relations in the society that built it. […]  Our cities are patriarchy written in stone, brick, glass and concrete».

Da qualche tempo sto conducendo con Azzurra Muzzonigro una ricerca sulle disparità di genere nella città, un’impresa solo apparentemente astratta che prova a osservare il pensiero che ha dato origine agli spazi urbani, i bisogni ipotetici che ne hanno guidato lo sviluppo e l’idea di utente intorno a cui sono stati progettati. Per scoprire – ça va sans dire – che viviamo in città costruite intorno a modelli urbani patriarcali e novecenteschi, dove gli uomini vanno al lavoro e le donne rimangono a casa ad allevare i figli, a preparare la cena, e a occuparsi di tutto ciò che sta al contorno di questi aspetti cosiddetti “di cura”.

Ebbene, quando mi è capitato di parlare di questa ricerca con persone poco gender-oriented, maschi o femmine indistintamente, ho notato che spesso l’argomento era accolto con stupore misto a fastidio: ma in che senso la città esprimerebbe una disparità di genere?, come se si trattasse di una stortura ideologica senza fondamento, di un’ennesima sovra-interpretazione femminista.

Arrivate a questo punto, la ricerca – che abbiamo scelto di intitolare Sex & the City – è in fase avanzata, e dunque ho ritenuto fosse arrivato il momento di scrivere la risposta che vorrei aver fornito a queste persone in quelle occasioni. Ciò che qui argomenterò per punti sintetici è sostenuto da diverse ricerche statistiche recenti, condotte in diverse città del mondo, a mostrare che dalle ideologie abbiamo cercato di tenerci sufficientemente distanti.

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