Una lavagna di storie

Vi abbiamo chiesto di raccontarci come il vostro spazio domestico si fosse trasformato per fare spazio alle mutate esigenze di questo periodo e quali credete saranno le tracce permanenti che questa trasformazione porterà con sé. 

Ci avete raccontato gli spazi delle vostre case, il rapporto con i vostri familiari in questa fase di convivenza intensiva e forzata, i vostri spazi di privacy (reali o desiderati), e di come presentate voi stess* e le vostre case agli altri quando – se – dovete partecipare a una video-conferenza.

Ecco il risultato.
Grazie!


Lo spazio del lavoro | Laura, Roma
Lo spazio della musica | Laura, Roma

[Carlo, Milano]


[Caterina, Milano]

[Tonino, Roma]

APPUNTI SPARSI

Fase 0
Grotte, pipistrelli, serpenti, ecosistemi che scompaiono, urbanità,  pangolino, cacca, urina, sbudellamento, wet market, Sars, Mers, Nipah, zoonosi, antropocene, sistema immunitario, antibiotici, vaccini, città che crescono, popolazione che invecchia, nouvelle cousine, mode, voli low cost, far east, mercato globale, biodiversità, fridays for future, WuHan, disequilibrio, tao, epidemia

Fase 1
Cina, Hubei, Macao, Pechino, Hong Kong, diffusione, virus, pandemia, Sars cov 2, OMS, ISS, genoma, chiusura, distanza, curiosità, è solo un influenza, distanziamento sociale, Covid 19, controllo, quarantena, trasmissibilità, contagio uomo a uomo, indice di mortalità, lavarsi le mani per 40 secondi, trasmissione aerea, toccarsi la faccia, blocco dei voli, anziani, bambini, amuchina, indice di letalità, 1.000, 5.000, 10.000, 100.000, aereosol, coronavirus, spike, spillover, R0, R1, R2, il gatto contagiato, la nave non può attraccare,  immunità di gregge, Johnson,  la moglie di Trudeau, Merkel, paziente zero, economia di guerra, non ci fermiamo, ripartiremo, rivalsa del Sud, Lombardia, Veneto, rientro a casa, autocertificazione, abbassare la curva, dontstop, lockdown

Fase 2
Zona rossa, Cologno, Vò, gruppi what’s up, balconi scuole, resisteremo, #iorestoacasa, Bergamo, Lazzaretto, i tedeschi che cantano bella ciao, sospensione di Schengen, protezione civile, infermieri, medici, cassiere, supermercati, fila, pasta, pomodoro, carta igienica, beni di prima necessità, professioni necessarie, delivery, logistica, runners, polizia, autocertificazione, smartworking, chat, cani, mascherine, edicole, cintura sanitaria, forza italia, untore, superdiffusore, portatori sani, terapia intensiva, ventilatori, ospedali, ambulanze, sirene, rivoluzione digitale, lezioni on-line, professori anziani, lauree on-line, gruppi what’s up, zoom, aperitivo on-line, fake news, infodemia, conferenza stampa, dati, tamponi, chiudiamo tutto, Trump, New York, Fauci, farmaci, HIV, antimalarico, mutazione, ricongiungimenti, isolamento

Fase 3
Rallentamento, disconnessione, esercizio in casa, ginnastica, dialoghi, la giusta distanza, nemesi, riequilibrio, pulire, ordinare, scandire il tempo, aria, sole, ritmo, corpo, cibo, scegliere, selezionare, amarsi, amare, riunione di famiglia, pasqua, epifania, riappropriarsi degli spazi, bricolage, costruire, cucinare, smontare, sistemare, piantare, prendersi cura, curare, caschi, vaccino, antivirali, Pomezia-Oxford, Bill Gates, caschi, sdoppiatori, stampati in 3d, curva dei contagi, R1, conviveremo,  cosa abbiamo imparato, tempi lunghi, l’unico modo che c’era, natura, autoregolamentazione, neanche un dittatore, Il corteo funebre dell’esercito a Bergamo, gli eroi, 1600 euro al mese, il virus nell’acqua, i cieli puliti, cosa impareremo

Fase 4
Diretta Facebook, riapriamo, 4 Maggio, congiunti, futuro, ombrelloni, estate, turismo, economia, niente come prima, ripartire, lentezza, liberazione, 25 aprile, manifattura, sostegno, eurobond, mes, debito, scuole, bambini, parchi, giochi, lavoro, Settembre, gradualità, trasporti, distanziatori, incertezza, fondo perduto, economia, ambiente, green deal, confini, europa, app, privacy, dati, tracciamento, QR code, normalità, piste ciclabili, lavorare, reset, tempi lunghi

FASE 5
Come prima, è passata, abbiamo imparato, inevitabile, riequilibrio, visione olistica, natura, antropocentrismo, specismo, vaccinati, nuovo senso delle cose, selezione, guariti, sopravvissuti, più vicini, più lontani, postcapitalismo, indebitati, solidali, speranza, misura, qualità, apparenza, stress post traumatico, tornerà, siamo pronti, tunnel, grotta, pipistrello, ricomincia

[Michele, Milano]

In questi quaranta lunghissimi giorni di quarantena  la convivenza  con il mio gatto si è lentamente trasformata in una simbiosi totale, tanto che adesso più che il gatto a vivere con me sono io a vivere con il gatto. Si sono invertiti i rapporti di potere a tal punto che io sono diventata il suo animale domestico e non il contrario. Mi spiego meglio. Vivendo in un sottotetto il gatto è solito farsi lunghe girate per i tetti del condominio, così mi sono ritrovata io in una condizione di attesa del suo ritorno invece che il consueto contrario. La sua presenza e i suoi ritmi, le sue pratiche di felino sono così diventate il mio sistema metrico di scansione del tempo tanto che l’altro giorno quando si è steso stiracchiandosi sul mio tappetino da yoga sono piombata in una sorta di stato venerativo. La condizione sospesa di questi giorni, forse chiamiamola pure follia lucida a questo stadio, mi ha spinto ad iniziare ad imitare le sue mosse sul suddetto tappetino senza pensare minimamente a quanto fuori di testa sarei potuta sembrare, la cosa incredibile è che la pratica yoga inventata dal mio gatto è diventata per me questione quotidiana ed il miglior antidoto alla reclusione.

Qui un “cat veneration carpet” che mi è venuto piuttosto istintivo buttare giù e che al momento vorrei avere come unico arredo della mia casa.

[Margherita, Milano]

In tempo di pandemia
ogni corridoio è una via
In cucina v’è un palazzo
e il parco è il mio terrazzo
Immaginario o reale
il salone è forse uguale
La chiamano sineddoche
quando la parte prende il tutto
ma noi si sa,
la casa non è un costrutto

[Matheus, Cabella ligure]

Patrizia, Bra
Luisa, Napoli

Vivo a Lecco da sempre, salvo una pausa di quasi un anno a Londra nel 2013. Ho abitato con la mia famiglia nel centro della città in un condominio vicino al lago. Poi all’età di quasi nove anni ci siamo spostati in un altro rione in una casa indipendente. Sono ritornato nello stesso condominio a fine anno 2016 nell’appartamento di mia nonna Rosetta (la mamma di mio papà) collocato al terzo piano, sopra – nella casa della nostra infanzia – viveva già mia sorella con il marito e i due bambini. Questa vicinanza è una cosa bella che rendeva felice anche mia mamma Maria. Mi piace perché c’è indipendenza e confine.
Vivo da solo. Un amico architetto mi ha aiutato a sistemare gli ambienti principalmente scegliendo i colori e la disposizione dei mobili ereditati da mia nonna Rosetta e da mio nonno Vittorio (il papà di mia mamma) al quale sono sempre stato legato in modo particolare. La mia casa non è immensa, per me è perfetta o meglio va bene ora per la vita che oggi conduco. C’è una camera da letto con un terrazzo, un soggiorno che è studio e anche luogo di ritrovo per cene o incontri con amici, un bagno e una cucina con un terrazzino. C’è poi un corridoio di ingresso che all’inizio si voleva eliminare abbattendo una parete e che per motivi economici ho scelto di mantenere. Alla fine fa la sua funzione.
La casa è piena di cose. Ci sono oggetti ricordo di viaggi e di persone, opere principalmente di amici artisti, mobili, complementi d’arrendo e diverse librerie. Gli oggetti sono stati scelti tutti con cura, sono un appassionato di design e artigianato. Le cose – libri compresi – se scelti bene sono in fondo come degli amici preziosi.
In queste settimane lavoro come tutti da casa, non è facile. Mi manca la vita da pendolare Lecco-Milano, mi mancano la palestra, le attività culturali, le cene fuori e o a casa mia con amici, poter camminare con serenità per la mia città andando nelle librerie o nei bar. Dalla mattina alla sera occupo lo scrittoio che mio nonno Vittorio acquistò all’inizio del suo lavoro di docente di lettere antiche. Da bambino passavo diverse ore nel suo studio in casa giocando tra carte, giornali e libri e aprendo i cassetti di questo tavolo che contenevano dolciumi, ma anche tanti oggetti da ufficio che guardavo con stupore. Aprivo poi le ante della libreria e facevo finta che fosse una casa… Oggi questi due mobili sono a casa mia, non sono solo un ricordo, sono anche qualcosa di vivo.
La mia casa è luminosa, dai terrazzi riesco a vedere le montagne, un torrente della mia città e un pezzo di Lario. Questo mi fa stare bene, Lecco è bella soprattutto per il suo paesaggio. Sotto casa ho la panetteria e una gastronomia che sono di aiuto in questo momento dove la spesa è un’attività complessa.
Lavorare da casa non è facile, svolgo le attività per l’ufficio e cerco di fare anche le mie cose, ma non sempre ci riesco… Non cambiare luoghi durante la giornata porta un po’ di fatica e a volte veramente non si ha voglia di fare nulla. Anche leggere non è sempre facile, così come cucinare sta diventando un po’ un peso nonostante mi sia sempre piaciuto stare ai fornelli. Cerco di usare il telefono per sentire gli amici, Skype o Zoom preferisco che restino strumenti di lavoro. Mi piace distinguere queste due cose altrimenti il pc resta sempre acceso e non c’è più il confine che prima la casa in qualche modo segnava.
Spero che tutto quanto stiamo vivendo finisca presto e che la mia scrivania possa tornare ad essere un luogo di piacere per lavorare alle cose che più ho a cuore.
[Prashanth, Lecco]

Sofia, Montalto di Castro
040420 sogno esotico | Federica Bologna, Milano

Per scardinare proprio tutto, il coronavirus nel suo piccolo è portentoso.

Con la loro microscopica carica di morte innocente, miliardi di coronavirus scorrazzano volteggiano viaggiano appesi a soffi di aliti, incollati alle goccioline di saliva, (quelle dei professori, gli alunni dei primi banchi con precoce saggezza già le rinchiudevano prudentemente in un cerchiolino di inchiostro), sfrecciano incollati alle polveri sottili, sotto il nostro naso, a miliardi, e sbriciolano allegramente ogni tipo di certezze, varcano ogni sorta di confini, mari, monti, ridicoli muri e, senza che nemmeno ci si accorga, forzano appena dolcemente la protezione della nostra pelle, entrando  e uscendo dai nostri corpi,  attraversandoci come fossimo nuvole. 

Allora che ne è dello spazio?

Intanto la geografia delle distanze chilometriche vale poco meno di zero. Che tuo figlio sia a Shanghai o a 10 Km o 400 metri è irraggiungibile uguale, lo puoi vedere solo in un riquadrino del cellulare, leggermente deformato, parziale, sorridente e sempre un po’ fuori sincrono immagine e voce, mentre il virus manda cartoline dal Giappone, dall’Egitto, da New York, dal Perù (dove per altro si sono inventati le uscite a giorni alterni, una volta i maschi, una volta le femmine, così lo spazio pubblico diventa cangiante rosa/azzurro, come le statuette barometro di un tempo. E chi eventualmente in quella suddivisione non si riconosce, che fa? Non esce mai o se ne fotte e esce tutti giorni?)

E lo spazio della casa, certo. Rifugio, comfort, potendo, ma mai del tutto sicuro nemmeno quello. Le operazioni per entrare e uscire, snervanti. Oh, dio, ho posato la borsa sul tavolo, la giacca sul letto, forse coi guanti ho toccato il cellulare e la maniglia…la mascherina dove l’ho messa…  e il rifugio diventa insidioso, le operazioni per entrare e uscire disciplina militare, astronautica, chirurgica.

E il fuori, il quartiere? Giri come un latitante, uno sguardo sghembo, mai sicuro di essere veramente a posto

Eppure, in tutta questa confusione e precarietà oggettiva, si impara a stare.

Restano i balconi, diventati parlatorio. Da lì, brevi conversazioni con qualche anima cara di passaggio, qualche scambio di confidenze, doni, piccoli favori, dalla ringhiera al marciapiede.

Infine, la maniglia esterna della porta di ingresso. Mai considerata prima, ora ha assunto il suo ruolo comunicativo. Ci trovo appesi regali imprevisti, come nella calza la mattina della Befana. Magari il campanello suona, corri a aprire e…c’è solo un sacchetto appeso che dondola e la porta dell’alloggio accanto, che velocissima si chiude. Anch’io partecipo al gioco e nottetempo appendo qua e là piccole sorprese.

Giochi da bimbi, ma non solo.

Umanità che trabocca, che circola attraverso le fessure, le finestre, le ringhiere, gli occhi, che si guardano sopra l’orlo delle mascherine.

Buongiorno! Mi scusi. ma non la riconosco. Con queste mascherine… sa.. siamo tutti uguali! Non si preoccupi, non ci conosciamo proprio. Solo volevo dirle… buongiorno! Allora.. grazie! Anche a lei! Sa… oggi mio figlio… e comincia una piccola storia.

[Emiliana, Cuneo]

Fred, Cuneo
Giulio, Torino

‘La vita ai tempi del coronavirus’.

Credo che tra qualche anno sui libri di storia si troverà un capitolo di questo genere… Cosa c’entra un titolo così se il mio intento è di parlare dei cambiamenti che i miei spazi domestici hanno subito in questo periodo? Beh c’entra eccome, è imprescindibile il fatto che il cambiamento degli spazi della propria casa coincida con il cambiamento del proprio stile di vita e della propria mentalità.

Il mio discorso di cambiamento inizia prima del coronavirus, condizionato dalla crescita e dall’imporsi delle personalità dei miei figli. Sono la mamma di due bambini che orgogliosamente definisco diversi. Chiara, la femmina, ha 13 anni e come hobby lavora ed incide il legno. Ha una grande passione per la musica, soprattutto rock. Sente, musicalmente parlando, di essere nata nel momento storico sbagliato. Andrea,il maschietto ha 10 anni, da quando ne aveva 6, coltiva un piccolo campo in perfetta autonomia. Quest’anno il mio piccolino ha chiesto in regalo un pollaio, dopo un’iniziale sorpresa abbiamo deciso di accontentarlo e, a distanza di mesi, devo dire di aver fatto benissimo.

Le passioni di entrambi in questi momenti di difficoltà si sono rivelate fondamentali… La stanza che più amo di casa:il soggiorno con camino, è diventata il laboratorio di Chiara. La tettoia che abbiamo in giardino, il suo palcoscenico che usa per cantare con i  cugini vicini di casa.

La mia cucina? (il mio regno) in questi giorni è diventata la sala d’incubazione dove Andrea, come ogni papà ‘premuroso’, parla con le uova feconde all’interno di una incubatrice acquistata da poco.

In ogni casa che si rispetti c’è lo stanzino degli orrori, da non mostrare, assolutamente, agli ospiti. Questa piccola stanza buia è diventata la stanza dell’ecografia, per vedere il progresso di ogni singolo embrione contenuto nelle uova!

Sinceramente non avrei mai potuto immaginare cambiamenti di questo genere e, soprattutto, di non essere affatto disturbata dal caos di casa, perché proprio questo caos è stato capace di portare serenità in questi giorni difficili.

[Carla, Tagliacozzo]

I am extremely privileged – something that has become even more apparent during the COVID-19 lockdown. First, I live alone, in a building that has solid walls and floors, and even the neighbors across the street are not close enough to be able to see directly into my home. For bandwidth reasons, my company has suggested we avoid video, so I haven’t been confronted with the “framing” issue. Thus my private space truly is private.
Second, when I purchased my apartment three years ago I knew that it would be my “forever” home, and set about renovating it to be flexible enough to suit a range of needs. The living-dining space in the photos was created out of the two former bedrooms and designed to be multi-purpose: living, entertaining, sleeping (with the pocket doors closed the living room converts to a guest bedroom), and home cinema. A small desk and file area was built into a hall closet, but not designed for use 8 hours a day. Today, the living-dining space has added two more functions: home gym and standing desk. The mat rolls up and with the weights is stored in the bottom cabinets of the bookshelf. The work laptop rests on top of a yoga block to be more ergonomic, and the round platform forces proper alignment while standing.
As my home was already a cocoon, I can’t say that much will change for me following this crisis. However, I do hope that the lockdown brings the need for proper urban planning and environmentally-sensitive architecture to the fore for cities world-wide. Too many today don’t live in spaces that are properly insulated (acoustic + temperature), aerated, or adapted to multiple functions, and thus have had a very different experience of quarantine. Between climate change and the inter-connectedness of our world, I doubt this will be the last time we find ourselves sheltering at home. But it we plan intelligently we can make the experience more pleaseant for everyone.
[Jane, Lausanne]

Marco, Lecce
Marianna, Milano
Carlotta

Il nome è Mariel e vivo in una casa spaziosa, circondata da un verde e profumato giardino, ho 2 cani da portare a passeggio, quindi non dovrei sentirmi eccessivamente oppressa da regole così restrittive… eppure mi sento prigioniera. Sono uno spirito libero, fantasioso, creativo, amo essere in contatto con il mondo o meglio ancora, sentirmi cittadina del mondo. Ho sperimentato sempre nuove forme di vita, per mettermi alla prova, fino ad arrivare a frequentare la scuola di ballo “Arthur Murray” presente a Lecce e in tutto il mondo. Mi si è aperto un mondo: attraverso le sinuose movenze del corpo, la gestualità delle braccia e delle mani posso esprimere i miei stati d’animo che, precedentemente, avevo affidato alla scrittura e alla pittura. Con il ballo si viene a conoscenza di se stessi e degli altri che, nel caso della mia scuola, per la loro eterogeneità, rappresentano il mondo, che è ciò che più mi esaltava. Ma ecco che, da Marzo, tutto questo è venuto a mancare, non sono più consentiti né abbracci, né baci, né contatti ravvicinati. Ci siamo chiusi in casa… e così la casa si sta riappropriando del suo valore intrinseco: è il centro della nostra vita, scrigno segreto dei nostri pensieri, delle nostre emozioni e ogni angolo può diventare il centro della nostra vita: i balconi sono il palcoscenico da cui espandiamo le note più romantiche e più allegre, il nostro salottino diventa la più bella pista da ballo. Le mura iniziano a sgretolarsi e il mondo entra nelle nostre case: io mi trucco, metto una coroncina tra i capelli, indosso i vestiti più belli e inizio a ballare con tutti gli altri ballerini del mondo e insieme eleviamo i calici per brindare alla vita perché questa, anche se diversa, è pur sempre Vita e bisogna viverla!
[Mariel, Lecce]

Paola, Milano
Carlotta, Milano
Caterina

Mai avrei pensato che la porta finestra che da su un minuscolo balconcino sarebbe diventata così fondamentale nelle mie giornate.
In quel rettangolo di luce meravigliosa che, generosa, lascia entrare nella sala, seduta a terra, leggo, prendo il sole, ascolto.
Anche quel minuscolo balconcino ha assunto un valore grande! La possibilità dell’aria aperta.
Sono fortunata, viviamo in due in una casa con spazi ampi, e belli. Ora 2 è diventato un numero fondamentale: due bagni, due stanze, due tavoli. Si, perché il piccolo tavolo incastrato nella “stanzetta-rifugio di ogni qual cosa”, si è trasferito in sala ed è diventato il tavolo del lavoro: due sedie, due pc uno di fronte all’altro, cuffie, e via: Skype, hangout, Jitsi, weSchool, Zoom, e telefonate…
Poi ci sono i video da fare per la danza. Sono danzaterapista e la domanda è: come far danzare le persone a distanza? Il nostro metodo di Danzaterapia Fux prevede, per esistere, la relazione dei corpi, necessariamente. E ora? Che video e che musica può servire? Ed in quale spazio, elemento fondamentale della danza?  Ho provato a scegliere angoli, a spostare il tavolo della cucina, ad usare solo le mani, a far danzare gli elementi della Casa, spazio danzabile e danzante. Tutto è una nuova sperimentazione.
E il mio lavoro di educatrice, per una sua parte, si svolge al telefono o in video chiamata. Questa è stata una svolta interessante. Come educatrice territoriale, entro in casa di una donna e della sua bambina ogni settimana…Ora anche loro possono entrare in casa mia: questo sta cambiando la prospettiva della relazione educativa e sta magicamente realizzando quella vicinanza che prima, pur in presenza di corpo fisico, era più difficile vivere, perché sempre presente la sensazione di una distanza di ruolo. Interessante cortocircuito!
Resta la questione del tempo: la sensazione è che mai, come in questo periodo strano, spazio e tempo siano legati indissolubilmente: lo spazio che vivo nella casa scandisce il tempo in cui fare o non fare qualcosa, così il tempo dedicato ad ogni azione presuppone uno spazio preciso,  allestito nella casa per quel tempo.

E poi… torno al mio piccolo grande spazio di luce: tempo di riposo e ricostituzione del corpo e della mente. Una porta-finestra al limite tra ciò che dentro e ciò che fuori continua a vivere.
[Monica, Milano]

Marcosimone, New York City
Teresa, Milano

La mia routine di vita in realtà è molto simile a quella di prima, visto che lavoro in pratica in un armadio o ripostiglio di fine corridoio al quale abbiamo tolto una parete così ci entro dalla stanza da letto invece che dalla porta. Però, però…, ora che ci penso, io su quella porta a fine corridoio (che è sempre chiusa perché dietro c’è il mio tavolo) feci aprire quando ci trasferimmo qui una finestrella ad altezza di mia figlia (che allora aveva sette anni), subito sopra la quota del tavolo, perché potessi vedere il suo bel viso sorridente ben inquadrato dall’apertura. Ora, io, come sai ossessionato come sono dalle finestre, ho sempre la mia “vera” finestra della camera da letto (ovvero l’esterno del mio studio / armadio) che dà sul quieto e deserto mondo esterno (e più in là sulla collina di Superga, quieta e deserta come sempre perché troppo lontana); ma questa finestrella della porta del mio studio / armadio che si affaccia sul corridoio ora la apro e chiudo molto di più perché al di là c’è molta più vita. È vero, cavoli.., non ci avevo pensato, è diventata una vera vista sull’esterno/interno! La mia finestrella interna si apre adesso sui fitti spostamenti inter-casalinghi: mia moglie che va da una stanza all’altra, e per lo più finisce in sala dove lavora e fa le sue lezioni via Skype o Zoom o quel che è; mia figlia che passa anche lei da una stanza all’altra della casa per finire in camera sua dove cerca di ricreare la sua vita sociale e scolastica. C’è un gran via-vai in effetti qui davanti a me. E questa bella finestrella, che fino a poche settimane fa mi serviva solo per guardare cosa facevano i gatti (che in genere dormono) e semmai tirar loro un pezzetto ci carta accartocciato perché lo rincorrano e la smettano di rompermi le scatole, oppure per salutare qualcuno che entrava dalla porta d’ingresso di casa (all’altra estremità del corridoio), ora è la mia finestra su una casa piena di vita e di attività, piena di interazioni nuove e complesse; di invenzioni e di rivelazioni; di speranze e di attese; ogni tanto di tensione e ansia. Persino i gatti sono più attivi; beh, lui (il maschio, Ralph) no, dorme molto, come sempre; ma lei (Marlene) non capisce come mai siamo sempre qui, come mai si apra continuamente questa finestrella che era sempre chiusa; e come mai i fine settimana durino un’eternità. 
[Matteo, Torino]

Nell’impossibilità di praticare lo spazio pubblico, ciò a cui si assiste è una sovrapposizione tra le sfere pubblica e privata, evidente prima di tutto nell’ampliarsi di forme di smartworking: lo spazio privato, le case, le stanze diventano per tutti luogo di lavoro, estendendo anche a molte professioni che non ne erano state toccate fino ad ora modalità lavorative legate all’uso delle tecnologie informatiche; l’effetto (come nelle figure professionali che già lo hanno sperimentato, per di più in forme di lavoro e sfruttamento precarie e flessibili) è una non-separazione tra tempo di lavoro e tempo di vita, una sovrapposizione che mette l’intera vita al lavoro.
Tale sovrapposizione non è solo di tempi, ma appunto anche di spazi, quegli stessi che attraverso le tecnologie digitali (videolezioni, videochiamate, webinar) diventano pubblici: i media digitali, necessari in questo momento per vincere l’isolamento e mantenere forme di condivisione, portano lo sguardo di ognuno entro gli spazi privati degli altri; determinando inevitabilmente forme nuove di intromissione nella sfera privata e imponendo ad ognuno forme inedite di rappresentazione di sé.
È comunque bello, come ulteriore effetto di questa mescolanza di spazi, che dalle finestre aperte arrivino in strada voci musiche canzoni, suoni che il silenzio circostante permette di ascoltare.
[Laura, Cuneo]

Isabella, Milano
Elena, Milano
Mattia, Milano

Vivo in centro Milano, sono fortunata, ho una casa silenziosa che condivido con il mio compagno.
Ci siamo innamorati anni fa di questo appartamento perché l’abbiamo trovato “comodo” (e sicuro una mia fissa).
È questa comodità che ora ci sta salvando in quarantena.
Ci pesa non avere relazioni con i nostri amici e le nostre famiglie, ma stiamo bene all’interno del nostro spazio.
Viviamo in affitto, la mia personalità e quella di Matteo sono espresse tramite pochi arredi che provengono dalle nostre altre case o da case precedenti che abbiamo lasciato.
Alcuni arredi li abbiamo disegnati insieme capendo le necessità che nascevano nel tempo e imparando insieme come ci piace abitare. Ad esempio abbiamo scoperto che amiamo il contatto il pavimento e il nostro divano è diventato un grande futon giapponese doppio.
Ecco questi saranno gli oggetti che porteremo sempre con noi. Saranno parte della “raccolta itinerante di ricordi”.
Da anni ho scelto di non avere la televisione, il mio compagno ha condiviso questa decisione.
Molta gente si stupisce di questo semplice gesto come se fossi una rivoluzionaria contemporanea.
Non la trovo una scelta così particolare, nel caso ci mancasse guardare la tv abbiamo comunque il computer che è ormai un’estensione del nostro corpo in ambito lavorativo. Il pc portatile sopperisce a quest’assenza in caso di necessità regalandoci un film nei momenti di svago.
L’unica cosa che mi manca davvero è un terrazzo, un vero spazio esterno.
Dopo quest’esperienza, lo inserirò nella lista dei desideri per una futura casa….
Quando vivevo a Roma il palazzo aveva un terrazzo condominiale sul tetto, enorme. Era stato arredato in modo collettivo con i contributi fantasiosi di vari condomini.
Su quel terrazzo si stendeva, si vedeva il tramonto, si mangiava, si creavano installazioni verdi in cerca di un pizzico di natura e…….si cercava compagnia quando si era soli, tanto a Roma basta uno sguardo ed è subito confidenza!
Non so se a Milano sia fattibile.
In questi giorni alle sei di sera butto sempre fuori la testa per cantare, lo faccio perché in fondo mi piacerebbe ricevere un sorriso dai miei vicini, ma in Corso Magenta non va molto di moda parlarsi e così in quarantena si torna a sognare timidamente dietro un vetro.
[Caterina, Milano]

Flavia, Roma
Spiga, Roma
Valentina, Milano

Marzo 2020. 

Ho trasformato il mio spazio domestico andandomene via. 

Un giorno che non riesco ad inquadrare in una casella specifica del calendario (alla quarta settimana di confinamento è un esercizio piuttosto inutile contare i giorni al fine di differenziarli…o forse è la quinta?) il governo francese ha annunciato che ciascuno avrebbe avuto poche ore per decidere dove trascorrere questo periodo di quarantena di cui sapevamo l’inizio ma non la fine.

Vivo a Parigi in una stanza che non credo raggiunga i 10 mq.
Non ne ho mai misurate le pareti con uno strumento appositamente designato, cerco di ricostruire in mente le sue dimensioni in rapporto agli oggetti che la occupano ed al mio corpo: in lunghezza non potrebbe contenere due materassi, ci scommetterei qualunque somma che non possiedo; per la larghezza ricordo di aver posto me stessa al centro dello spazio diverse volte con le braccia aperte, e la distanza che avanzava tra la punta delle mie dita e le pareti non superava certo il metro. Vivo in questa stanza allestita con un materasso e altri mobili che G. mi ha regalato quando ha dovuto affrontare un ennesimo trasloco, che tutti noi migranti nelle grandi metropoli europee consideriamo quell’elemento di connessione col quale periodicamente dobbiamo relazionarci.

E’ in una casa che definirla un tugurio sarebbe farle un complimento. Il muro che divide questa stanza da quella della mia coinquilina non è propriamente un muro, è più una membrana di compensato imbiancato messa al centro di quello che in passato doveva essere un ambiente unico dal quale hanno ricavato due camere da affittare. Una tenda al posto della porta mi illude di avere quel minimo di privacy fondamentale alla soglia dei miei 30 anni. Vivo in queste condizioni “perché pago meno di 500 euro al mese”, mi dicono, e quindi “è normale che la casa sia così, paghi poco”. Probabilmente se fossi disposta e in grado di pagare 6/7/800 euro per una camera la situazione migliorerebbe, ma purtroppo ho il grandissimo difetto di non voler affrontare mai con estremo vigore quella parte di me che si ostina a dire che non è normale dover pagare 700 euro una stanza in una casa condivisa con persone che neanche conosco e che non mi scelgo.

Quando ho realizzato che non avrei più avuto la possibilità di uscire di casa liberamente ho visto nient’altro che nero per qualche secondo, e poi con la stessa velocità propria delle azioni istintive mi sono detta che dovevo andarmene da là. Anche F. avrebbe dovuto farsi questo confinamento, e i suoi coinquilini francesi erano tornati nelle città di origine. L’idea di farci compagnia in questo periodo è stata accolta con entusiasmo da entrambe, e quasi periodicamente ci diciamo che è stata una santa decisione.
Metto il minimo indispensabile nello zaino (il primo tra i primi beni necessari che occupano la parte bassa dello zaino quando mi sposto per più di 48h è la macchinetta del caffè) e scendo per andare a casa sua con la mia chitarra in spalla. Dista meno di 5 minuti a piedi, che percorro con altissimi livelli di ansia in corpo: essendo passate più delle ore concesse per spostarsi nelle nuove residenze ho dovuto controllare più e più volte durante il percorso che non ci fossero gli sbirri in lontananza. Ma giungo in quella che da qualche settimana è il mio nuovo rifugio senza incontrare nessuno, neanche loro.

L’appartamento in questione è degno di questo nome: è stato rimesso a nuovo da poco, lo si comprende chiaramente dal bianco delle pareti che ancora può essere definito bianco, dalla qualità del parquet, dalla presenza di tutti gli elettrodomestici necessari in cucina. Io e F. ogni giorno siamo alle prese con il rituale di trasformare l’unico tavolo che abbiamo a disposizione, quello in soggiorno, in scrivania da ufficio fino alle 18.30. E poi con la stessa ritualità lo liberiamo dei nostri pc anche se non dobbiamo necessariamente usarlo per altri scopi, forse inconsapevolmente consapevoli che quello che rende questo spazio il nostro ufficio non sono gli oggetti in sè, ma le nostre azioni. Siamo fortunate ad avere il salotto con balconcino praticabile verso Ovest e non avere palazzi alti di fronte, così da fare carico di luce e sole nel pomeriggio; e siamo ancora più fortunate che la vista di cui godiamo da questo punto che oramai è la nostra finestra sul mondo sia la chiesa del Sacre Coer. Passiamo gran parte della giornata in questi spazi della casa, ed ogni sera ci diciamo quanto siano belli i colori al tramonto nei quali la cattedrale scompare in controluce fino a quando non è notte e le luci del monumento vengono accese, mostrandoci la sua tridimensionalità e le sue zone in ombra. F. ogni giorno innaffia le piante che ha comprato appena prima del confinamento e che regalano un po’ di verde ai nostri occhi. Anche le varie lampade e lanterne sono state riposizionate: se proprio non possiamo godere di quel che c’è fuori, tanto vale migliorare l’atmosfera che c’è dentro.

[Ylenia, Plasson, Parigi]

Tom, Claviére
Luca, Milano
Simona, Milano

Faccio la quarantena a Milano in una casa comprata due anni fa e abitata per la prima volta per questa triste occasione.
Mi trovavo a Milano per lavoro, da prima della pandemia ci tornavo saltuariamente perché ho deciso da un anno di tornare a vivere nella mia città d’origine, Taranto. che amo e in cui credo sia più utile politicamente stare. Soprattutto da quando un anno fa è mancato mio padre. Ho pensato unire il cuore nello stare vicino a mia mamma alla testa nel contribuire al cambiamento della mia difficile città.
Mi sento triste perché sono lontana da mia mamma, che io e mia sorella abbiamo coccolato nel primo anno di lutto non lasciandola mai sola e ora deve affrontare tutto questo da sola.
Mi sento triste perché sono lontana dal mio fidanzato che è a Roma da solo e chissà quando potremo rivederci.
Mi sento triste perché mi manca ancora di più mio padre in queste settimane e avrei tanto voluto sapere cosa avrebbe pensato e come avrebbe affrontato tutto questo.
Ma mi sento anche fortunata.
Mi sento fortunata perché sto in una casa accogliente e piena di luce (anche se non ho un terrazzo).
Mi sento fortunata perché sono casualmente in compagnia di una delle mie migliori amiche intrappolata anche lei a Milano e la quarantena è più dolce e sorridente che se fossi stata da sola.
Mi sento fortunata perché mi rendo conto di essere una privilegiata in tutti i sensi, e non è poco.
Mi sento fortunata perché quando tornerò a Taranto ci sarà una nuova casa ad aspettarmi vista mare. E questo è bellissimo.
Non so se la società liquida che mi immaginavo di vivere tornerà facilmente. Proverò ad utilizzare questo momento per capire come vivere il mio futuro.
Non sono abituata a raccontare la mia intimità ma sono giorni che penso a questo strano destino di vivere la quarantena a Milano per “sbaglio”, e la vostra idea mi sembra bellissima per raccogliere pensieri e riflessioni oltre a  foto e piantine. Come se la nostra casa fosse la nostra anima da provare a riordinare.
[V., Milano]

Margherita, Milano
Gennaro, Milano
Leonardo, Torino

C’era un tempo, e c’è ancora, dove i termini del dibattito sull’abitare vertevano su parole quali standard, flessibilità, comfort e sostenibilità e iperbole varie su mode ed interior design. All’improvviso l’emergenza corona virus ha catapultato la parola abitare nel campo stringente della coercizione del vivere quotidiano all’interno della propria abitazione. La comune condizione attuale sta deformando lo spazio e il tempo del nostro abitare all’interno delle nostre case modellando una realtà che si fa sempre più opprimente e vincolante. Nessun architetto o interior design ci salverà. Appare di fondamentale importanza aumentare ora più che mai i gradi di libertà del nostro abitare e trovare in essi nuovi sensi per riconciliarci con il nostro spazio domestico essendo ora l’unico ambiente a nostra disposizione. Rispondono a questa esigenza le operazioni creative che sovrappongono alla solidità delle nostre case/cose la fluidità della fantasia. Così il tavolo non è un tavolo ma una capanna primitiva, il tappeto una mappa di libri, la camera la piazza in cui darsi appuntamento e il bagno una galleria di marmi preziosi. Nessuna coincidenza fra forma e funzione.
Cambiare il punto di vista è il gioco, giocare con ciò che c’è o che può diventare. Questa è una delle strade che ci consente di increspare per alcuni momenti la realtà quando essa ci appare ormai piatta ed automatica. I bambini sono i privilegiati, lo sappiamo. Si sono tenuti le chiavi per accedere a queste dimensioni!. Possiamo rimediare, il primo passo è quello dello sguardo, cambiare il punto di vista, il secondo quello dell’azione, cambiare radicalmente il nostro rapporto con ciò che ci sta attorno. Ora lo spazio all’improvviso si dilata, diventa narrativo, il luogo dove inizia una nuova esperienza alla deriva dall’ordinario. Una pazzia? No, abbiamo solo conquistato uno spazio in più.
[Davide, Udine]

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